Dopo 55 giorni di una lunghissima chiusura ritorna inaspettata la libertà.
Questo lungo periodo mi accorgo che mi ha cambiato più di quanto potessi immaginare, come credo abbia cambiato tanti di noi.
Sono stato di certo uno dei molti fortunati che ha potuto vivere questa prolungata quarantena senza i drammi di chi è stato colpito da questa terribile pandemia, e comunque in uno spazio confortevole ed in un abbraccio di affetti che non mi ha fatto troppo rimpiangere i perduti spazi esterni, le perdute libertà.
Anche la scuola è stata una novità piacevole in questa situazione straordinaria, capace di impegnare buona parte delle mie giornate da recluso.
Le mura di casa, che all’inizio sembravano una prigione con quella porta chiusa sull’esterno, pian piano si sono modificate in amorevoli difese per tutti; mi svelavano il loro vero significato, quello di proteggere tutti, tutti gli altri dal virus assassino. La reclusione si trasformava in un sincero gesto d’amore verso chi non conoscevo e che tramite il mio, come il sacrificio di tutti, abbiamo provato a salvare. Non mi sono mai sentito così vicino agli altri come in questi lunghi giorni; cosi come non potrò mai dimenticare i canti, le musiche dai balconi con cui ci incitavamo a resistere ed allo stesso tempo a farci coraggio.
Ma ritornando al 4 maggio 2020, il primo giorno in cui posso finalmente uscire nuovamente per strada, giorno che ho sognato da tanto ed in tante notti in cui faticavo ad addormentarmi, oggi ho scoperto che non ho più così tanta voglia di uscire.
Si, dopo 55 giorni, mi accorgo di aver paura ad uscire. Paura, ma non di ammalarmi o di poter contagiare qualche altra persona, quanto paura di scoprire che nulla sia cambiato. Che questo virus non sia riuscito a portare l’unico effetto positivo che credevo possibile, quello di eliminare il veleno che ci teneva divisi prima della sua comparsa. Che il modo di fare delle persone cioè ritorni uguale, alla piena indifferenza, come se tutto quanto passato non fosse servito a nulla. Scoprire che quel senso di comunità, di magica vicinanza creatasi quando eravamo necessariamente separati, si dissolva del tutto ora che invece potremmo ritrovarci nelle nostre vie; che tutto quell’affetto che manifestavamo da dentro le mura delle nostre prigioni svanisca con la ritrovata libertà. Insomma paura di verificare che le mascherine in strada servano nuovamente a coprire l’indifferenza degli uni verso gli altri e non siano più il gesto di amore disinteressato per gli altri. Temo che il periodo passato non sia servito a molto, che non abbia funzionato come il reset di un computer mal funzionante e che al riavvio riprende meglio di prima.
Questa cosa mi fa star male davvero, ed oggi 9 maggio non ho avuto ancora il coraggio di verificarla. In tanti mi hanno chiesto come mai non sono ancora uscito dalla fine del lock down, spesso non ho risposto anche a miei insegnanti e ad amici, ho perciò deciso di scriverlo qui.
So che questa prova sarà non ancora molto a lungo rinviabile, che fa affrontata. Ma temo che ne resterò deluso. Ho paura di verificare che sappiamo dare il meglio di noi solo in momenti particolarissimi e limitati, per poi ritornare alle vecchie abitudini. Spero di sbagliarmi, e che il “tutti insieme ce la faremo”, ripetuto fino allo sfinimento in questi giorni, mi auguro abbia davvero scavato una trincea in noi in questo distanziamento d’amore che lasci traccia nei nostri cuori; spero sia capace di separare veramente il prima dal dopo, per un futuro solidale e di rinnovata speranza per tutti.
Comunque in questa prova che mi attende, che attende tutti in questo nuovo inizio, mi piace tenere a mente una bellissima frase del Dalai Lama che afferma “Se vuoi cambiare il mondo, prova prima a migliorare e a trasformare te stesso.”
di Ernesto Genova I C