Un anno dal paziente 1, il paziente zero non è mai stato individuato; un anno che ha portato via la normalità dalle nostre vite forse per sempre.
Non sarà probabilmente mai niente come prima, questo anno di alti e bassi ce l’ha confermato.
Ci sarà per sempre un prima del febbraio 2020 ed un dopo. Troppe paure, troppi morti si sono contati in questo lungo anno per farci pensare che sia stata una situazione che non lasci traccia in tutti noi.
Tanti di noi sono stati colpiti, chi più da vicino, chi più da lontano, da qualche lutto. Comunque tutti noi siamo stati toccati da paure e da ansie sconosciute. Lo stare isolati, impotenti contro questo virus, l’aver riscoperto che la morte era nuovamente tra noi come ai tempi della peste, ed ha ripreso a colpire a caso, senza logiche, ci ha spaventati al punto da fingere in alcuni momenti che non esistesse più.
Ma le tante abitudini cambiate ce lo ricordano di continuo. Il fare lezione con uno schermo che ci divide dagli altri, o attraverso una mascherina come ultima protezione verso il virus, ci ricorda costantemente che lui è lì, ben presente e pronto a colpire ad ogni disattenzione. Lo abbiamo visto bene durante l’estate, durante l’autunno, quando abbiamo provato a voltargli le spalle ed a provare a riprendere le nostre vite, quanto e come ci ha colpito duramente.
È passato un anno dall’inizio di questo incubo, vissuto tra alti e bassi, tra fiducia ritrovata e perduta, tra ottimismo e pessimismo, in un’altalena di sensazioni che ci hanno lasciato un senso di vuoto difficile da riempire. Un anno in cui siamo cresciuti per riscoprirci però meno forti, più deboli.
Un anno che ci ha reso diversi, l’unica speranza è che questa pandemia possa essere archiviata definitivamente dai vaccini, anche se ormai non ci sentiamo più così speranzosi.
Allora l’unica speranza che forse ci rimane è di accettare di essere diversi da un anno fa e forse migliori, più solidali, più fragili, ma più umani.

di Ernesto Genova 2C

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