la-canzone-della-mia-vita

di Francesca Cassandro

Da piccola non  sognavo grandi cose ed ho impegnato gran parte della mia infanzia ad immaginarmi con un microfono in mano ed una chitarra tra le braccia. Poco prima dell’adolescenza ero già sicura di cosa avrei voluto fare da grande: la cantante. Solo che ora che sono davvero un’adolescente scopro che per realizzare quel sogno bisogna lavorare duro e non risparmiarsi in nulla.

Il primo coro con la scuola, le prime uscite con i compagni di corso, il primo concerto  dopo anni di super protette recite alle elementari, le corse nell’incastrare prove e compiti – soprattutto farli bene – non si sono rivelati essere uno scherzo da ragazzi, ma la mia tenacia nell’esprimermi attraverso ciò che mi riesce meglio: il canto, è troppo grande e non voglio rinunciare.

Scrivo ed  immagino di avere sotto le dite una tastiera musicale dove ad ogni lettera corrisponde una nota, dove il racconto diventa una melodia e dove soprattutto riesco a trovare la mia dimensione.

Se questo è un equilibrio allora lasciatemi camminare lungo strade d’inchiostro e sentieri di parole alla ricerca dell’armonia perfetta.

 

La musica è l’universo nel quale non mi sento disorientata,  dove riesco a trova sempre un equilibrio in quel miscuglio di sensazioni che fanno di me non  più una bambina ma nemmeno ancora una donna.

 

E’ finita l’epoca delle Barbie e dei cartoni in TV, e mi ritrovo a fare i conti con le prime imperfezioni della pelle, volgarmente definiti brufoli, per non parlare degli aggeggi infernali allinea-denti che il mio dentista tenta di spacciare – e nemmeno a buon prezzo – per un’accessoria moda che fa tanto trendy fra noi ragazzi.

Non è facile crescere. Il primo amore, il desiderio d’indipendenza e la paura di staccarsi dalle mani dei genitori fanno di me un funambolo sospeso in aria nel grande circo della vita. Già la vita, quel dono così prezioso e grande dove, troppe volte, ci cammini dentro e  nemmeno te ne accorgi.

Undici anni non sono tanti, e non mi dispiace rimanere ancora un po’ così. Lasciarmi cullare dalle coccole di mamma che sa che in questo corpo così grande batte ancora un cuore tanto piccolo e poi addormentarmi con la testa sulla spalla di papà.

Se questo è l’equilibrio dell’essere e dell’apparire io voglio rimanere qui, ferma nell’ingenuità che giustifica ancora qualche mia marachella,  sbilanciandomi piano con passo incerto nel futuro. Insomma gattonare nello spazio e nel tempo in cerca del mio equilibrio.

 

Se dovessi descrivere come mi sento in questo limbo chiamata adolescenza, potrei dire, ritornando alla mia passione per la musica, che sento di appartenere ad un concerto in cui un giorno sono in armonia con tutto ciò che mi circonda ed un altro giorno la nota stonata di una meravigliosa sinfonia.

Da piccoli si sogna di conquistare il mondo, di viaggiare nello spazio o di diventare un divo del cinema. Chi non sogna cose fantascientifiche e non pensa in grande, non sembra appartenga a questo pianeta, mi ripetevano  alcuni miei amici ai tempi dell’asilo. Io, invece, immaginavo – e lo immagino ancora –  di essere una nota sul pentagramma, una chiave di violino, un assolo in un concerto.

Osservo con la curiosità della mia età chi condivide la quotidianità delle giornate; ragazze della stessa mia età che, nel pensare al proprio futuro, stanno già bruciando il presente. Molte di loro nascondono il viso acqua e sapone con pesanti trucchi e carnevaleschi rossetti, stringono tra le dita che mettono in mostra sfavillanti smalti, puzzolenti sigarette, solo per apparire “grandi”. Io dal basso della mia età le guardo e quasi un po’ le compatisco perché questo non può essere un sogno da realizzare, non è questa la strada che porta alla maturità. Mi chiedo il perché di questi atteggiamenti. In fondo anche io sono come loro, vivo nella stessa città e talvolta frequento le stesse persone ma accetto l’imperfezione che il buon Dio ha voluto donarmi.

 

Con il volto rotondetto e gli occhiali da vista io continuo a pensare al mio futuro nella musica, il che mi rende non poco estranea alle vicende comuni delle mie coetanee. Mondi così simili ma così lontani…qual è l’equilibrio giusto?

 

Ferma sulle mie idee non cerco di convertire chi del make-up ne fa scopo di vita, ho troppo rispetto per il prossimo tanto da non voler imporre le mie idee semplici, una vita semplice, da bambina semplice.

 

Se guardo al passato, se sfoglio l’album dei ricordi, nelle foto della mia giovane età riconosco in tutte però, sul mio volto quell’inconfondibile espressione di timore del futuro. Quando devo fare qualcosa per la prima volta da sola le mani si gelano, diventano attaccaticce e deboli, le caviglie sembrano voler indicare ai piedi la strada per tornare di corsa a casa. Mi manca un telefono un po’ vecchiotto in mano per simulare la scena di E.T quando cerca di contattare i propri genitori. Capisco così che quella cosa è una novità, che un equilibrio sta per essere compromesso ma se questo è l’equilibrio della crescita “benvenuto!” Che il processo di trasformazione avvenga. La salivazione a zero, gli occhi sgranati che mi rendono più miope di quanto non lo fossi già sono il mio sintomo di crescita e la cura è crescere e basta.

Nel  profondo del mio animo, c’è, se scavo bene, sicuramente una parte di me avventurosa e coraggiosa, solo che non riesco a tirarla fuori.

 

Questo è il mio equilibrio; bambina dentro e ragazza fuori. Con il tempo sto imparando a tenere a bada il timore di crescere e sbagliare e pian piano comincia ad affacciarmi al mondo  al di là della porta di casa mia.

Questo è l’equilibrio di un tornado…la gioventù ti porta a sognare ad occhi aperti ma l’inesperienza ti conduce alla prudenza. Io ci sto proprio in mezzo in questo vortice di emozioni. Ciò che so per certo è che la canzone della mia vita voglio cantarla con voci bianche e voci nere, con note alte e note basse, forse stonando un poco ma pronta a riprendere il canto.

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