Un giorno mi svegliai e sentii delle urla e dei rumori simili a delle esplosioni, provenire dalla riva. Eravamo in America, in particolare nell’anno 1493, a Cuba.

Scesi dal secondo piano del mio palazzetto in terracotta ed andai verso la riva e vidi gli spagnoli che con delle strane macchine mortali, stavano decimando la mia popolazione.

Allora in quanto guerriero e protettore della mia città mi armai di lancia e corsi verso un nemico ma subito sentii un dolore lancinante dietro di me all’altezza della nuca come un oggetto che mi trafiggeva la testa e svenni all’istante. Mi risvegliai in una nave gigante legato dalla testa ai piedi e cercai di liberarmi non riuscendoci. Era buio quindi non riuscivo a capire se e chi ci fosse intorno a me. All’improvviso sentii un rumore di passi provenire dall’alto e capii che ero in una stiva. Improvvisamente si aprì una botola, dalla quale entrò una forte luce facendomi notare che con me vi erano tantissime persone della mia stessa provenienza; dalla botola scese un uomo con una armatura che sembrava essere fatta in qualche modo di ferro, anche se molto rudimentale, e con una di quelle macchine mortali in mano. Si avvicinò a molte di quelle persone che si trovavano nella stiva, porgendo a ognuno di loro la stessa domanda: “vita o morte?”, e chiunque rispondesse senza mostrare alcuna paura, la parola “morte”, veniva ucciso senza indugio alcuno. Se la risposta alla fatidica domanda era: “Vita”, veniva portato in un’altra stanza sempre della stiva. Riuscii a contare un centinaio di miei simili, ma alla fine ne rimanemmo soltanto una trentina. Io ero molto attaccato alla vita e quando fu il mio momento, la risposta era quasi scontata: “vita!”. Una volta arrivato nell’altra stanza mi diedero da mangiare pane ed acqua, che io divorai in poco tempo, ma poi mi colpirono di nuovo facendomi svenire un’altra volta. Mi legarono e mi portarono sul ponte e quando mi risvegliai vidi che eravamo arrivati in un porto, dove c’erano tante persone che parlavano tra di loro senza che io riuscissi a capire cosa dicevano esprimendosi in una lingua diversa dalla mia, capii solo che dovevo scendere e dovevo essere usato per qualcosa. Mi portarono in un campo, e mi fecero capire che in fondo allo stesso, c’era una casetta con dentro degli attrezzi per lavorare la terra. La stessa persona che mi aveva accompagnato alla casetta per prendere gli attrezzi, si mise a guardarmi spronandomi a lavorare, ed io mi misi a zappare la terra, sapendo che se non lo avessi fatto mi avrebbero ammazzato di lì a poco.

Dopo un anno di lavoro nelle campagne, il mio guardiano mi portò davanti ad una barca gigante. Dopo un anno che ero stato reso schiavo ed ero riuscito ad imparare un po’ della loro lingua, mi resi subito conto che quella era la barca che chiamavano “galera” e di cui si diceva, che chiunque ci fosse entrato, o finiva per suicidarsi o chiedeva di essere ammazzato, o infine sarebbe deceduto per qualche ignota malattia. Capii subito che il mio destino era proprio una di quelle alternative. La fortuna volle che in quella galera ci rimasi “solo” dieci mesi e sbarcai in un posto familiare…ma certo! Ero tornato a casa. Mi fecero scendere dalla barca e mi portarono in una miniera dove trovai uomini forzuti come me che venivano chiamati “i più forti”. Riuscii a fare amicizia con alcuni di loro anche grazie alla loro resistenza fisica, perché gran parte degli altri erano destinati alla morte facile.

Dopo altri due anni di lavoro in miniera ad estrarre argento ed oro, decisi che era il momento di pensare ad una rivoluzione. Allora parlai di un piano ai miei amici, il piano consisteva nello stordire la guardia durante la notte, approfittando della nostra forza fisica, che alla lunga dopo tanti anni di duro lavoro, era diventata la nostra arma migliore, contro la volontà di coloro che ci volevano schiavi, prendere una delle macchine della morte cercando di capire come usarla e nasconderla per poi durante le successive notti rubare sempre più armi, finché non ne avremmo avute abbastanza per attaccare e sconfiggere il nemico. Così facemmo e tutto riuscì secondo i piani fino a raggiungere la tanto sospirata libertà.

 

Articolo scritto da GIOVANNI CANETTI, 2BD

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